Archeosub
Al lago di Bolsena numerose popolazioni si sono alternate nel corso dei secoli, creando numerosi villaggi e insediamenti, a volte anche di dimensioni notevoli e storicamente rilevanti. Quando si parla di archeologia quindi è impossibile non prendere in considerazione tutto il materiale rinvenuto nelle sue acque e le scoperte che, negli anni, hanno rivoluzionato gli studi, sia dal punto di vista morfologico che geologico.
L’archeologia subacquea nel lago di Bolsena è una disciplina giovane, nata e sviluppatasi infatti solamente a partire dal 1959, grazie alla passione, all’amore per questi luoghi e alla sete di conoscenza del bolsenese Ing. Alessandro Fioravanti. Artefice e promotore, “Vulcano”, così soprannominato da alcuni locali veraci, ha apportato metodi innovativi nell’ambito dell’archeologia subacquea, portando alla luce, con la sua équipe, numerosi reperti, tra cui le due famose ed importanti piroghe monoxili (ricavate da un unico tronco) lunghe, rispettivamente, 6,5mt e 9,7mt.
I dati fin qui acquisiti sono il frutto di tantissime ore d’immersione distribuite nell’arco degli anni.
Estate 1958
A 7 Km. a sud di Bolsena in località Punta del Grancaro, così chiamata nel passato per l’abbondante presenza di granchi, furono rinvenuti, su di un antico tracciato stradale semissomerso, solchi di ruote di carri detti “rotate”. Questi solchi erano già conosciuti dal 1700 e si trovano anche riportati in antiche mappe e catasti che li attribuiscono alla viabilità medievale, ma non esistono elementi certi per escludere che ricalcassero vie più antiche. Se ne trovano altri in località “la Cava” di Capodimonte e sulla costa rocciosa ai piedi di M. Senano.
12 Agosto 1959
Seguendo le tracce delle ruote di carri lasciate impresse sulle rocce, a 150mt da riva e 5mt di profondità, sono stati localizzati i resti di un antico abitato palafitticolo (insediamento protostorico) e di numerosi reperti archeologici. Questo insediamento si estende per circa un ettaro ed è affiancato da un ammasso di pietre vulcaniche che forma un tumulo, con ogni probabilità un Monumento rituale di dimensioni 60×80mt, altezza 5mt, già noto ai pescatori del luogo e chiamato “aiola”.
Questo insediamento fu chiamato dall’Ing. A. Fioravanti “Gran Carro”, per via delle tracce rinvenute sulle rocce che ne hanno poi permessol’individuazione. La datazione attribuita è del 700 – 800 a.C., in sostanza alla fine dell’età del Ferro e nella fase più tipica ed interessante della civiltà Villanoviana, ma si presuppone che possa risalire al Bronzo Medio.
Il livello del lago in quel periodo era sicuramente più basso di 7mt e la linea di riva correva a circa 200mt dall’abitato. Di circa 4.500 reperti rappresentati (oltre il classico corredo ceramico domestico rinvenuto in quantità considerevole) da ziri, biconici, olle, splle e tazze, fornelli, lucerne, macine familiari per granaglie, dall’impasto nerastro, a volte lucidato ed ornato con svariati motivi geometrici, talvolta molto elaborati, sono stati riportati alla luce anche interessanti reperti relativi alle varie attività artigianali: ami di bronzo per la pesca, asce, scalpelli e sgorbie per la lavorazione del legno, fuseruole e rocchetti per la filatura della lana o della canapa, bollitoi e filtri per la lavorazione del latte, pesi per la tessitura al telaio, forme di fusione e crogioli per la metallurgia del bronzo, grossi scarti di fornace, testimonianti la lavorazione e la cottura della ceramica sul posto.
Questo materiale rinvenuto ha permesso successivamente di stabilire il tipo di economia della popolazione che abitò la zona. Nei fondali di Bisenzo, invece, si sono rinvenuti grossi frammenti lapidei non identificati (con ogni probabilità si tratta di urne cinerarie).
Anno 1960
In località Tempietto, poco ad Ovest di Bolsena, altre tracce di pali sporgenti dal fondale portano alla scoperta di un’altro accumulo ellittico di 45 x 70mt, situato a 7,5mt di profondità. Disposizione di molti pali di quercia “Fittura”, quasi fossilizzati, infissi sul fondo lungo il ciglio e parallelamente alla costa. Anche questo villaggio farebbe pensare alla prima età del Ferro.
Anno 1968
Punta del Grancaro o “Gran Carro”. È rinvenuto un cranio di Bos Primigenius privo di un corno (antenato preistorico dell’attuale bue).
Anno 1970
Punta del Grancaro o “Gran Carro”, è rinvenuto un grosso barcone, in loc. Traversa, affiorante su di un fondale limoso a circa 3mt di profondità, dalla larghezza di 5mt ed una lunghezza di 16,5mt, con una altezza dei bordi di 1.75mt ed uno spessore delle fiancate di 7cm. Dai ricordi degli anziani della zona sembra si trattasse di un grosso barcone, costruito da artigiani bolsenesi, adibito al trasporto via lago dei lunghi tronchi tagliati nei boschi circostanti, per essere successivamente inviati, per galleggiamento lungo il fiume Marta, ai cantieri di manutenzione della flotta napoleonica, ormeggiata nel porto di Civitavecchia.
Anno 1976
Nella fascia costiera tra P.ta San Bernardino e M. Bisenzio (nel Comune di Capodimonte), ad un centinaio di metri dalla riva su di un fondale pianeggiante di circa 3mt, vengono individuati dei ruderi formati da un complesso di blocchi di pietra disposti secondo una forma a tenaglia con due bracci ricurvi che lasciano un varco di circa 5mt verso il largo e con uno spazio semicircolare interno dal diametro di 50mt. Con ogni probabilità questa struttura era il porto del vicino insediamento di Bisenzio, datato dall’Età del Bronzo al Medioevo.
Anno 1980
I primi archeologi ufficiali danno il loro contributo. Fino a questa data tutto il lavoro e le ricerche era eseguito da un gruppo di persone composto da maestri, studenti, periti, agricoltori, ecc. tutti volontari guidati dall’Ing. A. Fioravanti.
Anno 1984
A M. Senano (nel Comune di Gradoli) è localizzata un’altra “aiola” dalla forma tronco conica, con base ellittica di 50 x 30mt e costituita da un insieme di blocchi lapidei irregolari dalle dimensioni di 50cm. Il fondale in questo punto è interessato da sorgenti di acque termali. Qui sono state ritrovate le misteriose ruote di pietra lavica o di tufo di 15cm. di spessore e 35cm di diametro, ritrovate anche nei fondali a NO dell’Isola Martana, databili al Protoappenninico.
Successivamente, un incontro con gli storici dei laghi lombardi permise agli studiosi locali di chiarire l’incognita “ruote”. Queste “ruote” erano (in alcune zone d’Italia sono tuttora utilizzati) in realtà delle zavorre per i pali degli impianti di pesca detti “perteghe” (pertiche), che erano utilizzate sui fondali rocciosi, mentre sui fondali limosi i pali (detti “legnai”) erano piantati a mano nel fondale lavorando dal bordo di una barca.
Ad una profondità di circa 10 metri era affondato un grosso mucchio di ramaglie, tenuto in posizione dai pali per creare un rifugio naturale per i pesci. Dopo un certo periodo questo mucchio di ramaglie era circondato da reti dove andavano ad impigliarsi i pesci cacciati dal mucchio. A seguito di un programma di rilevamenti morfologici e batimetrici, analisi stratigrafiche e datazioni al radiocarbonio, che si concluse nel 1997, si arrivò al risultato che tutti i pali, infissi a profondità tra 8 e 12 metri, facevano parte di “apprestamenti di pesca” risalenti a poco prima dell’anno 1000, fino a giungere a qualche secolo dopo.
Anno 1985
Nella zona del Ragnatoro, ubicato nel quadrante nord occidentale dove il Lago degrada dolcemente tanto che l’isobata di 10mt di profondità corre ad un Km dalla costa attuale, i fondali, certamente molto emozionanti e suggestivi per coloro che s’immergono, hanno restituito numerosi reperti databili presumibilmente nel Protoappenninico (Bronzo Antico e Medio) e numerosi pali disposti questa volta ad ellisse di 3 x 4mt, datati con il Carbonio 14 tra il XIII e il XIV secolo: la testimonianza di un tipo di apprestamento da pesca, da qualche tempo obsoleto, proprio in questa zona fa supporre che esistesse anche un villaggio di pescatori, posto sull’orlo di uno strapiombo a quota 295 m s.l.m. (appunto 10mt di profondità).
I materiali rinvenuti sono piuttosto eterogenei, riferibili a giacimenti archeologici di varia natura, abitati e/o necropoli. Sono olle globulari d’impasto a collo cilindrico, attribuibili alla Cultura di Diana e forme biconiche attribuibili a contesti funerari protovillanoviani, in ogni modo situati in origine in zone asciutte, cioè nell’ambito di vaste fasce costiere pianeggianti che sono andate poi in seguito sommerse forse per cause neotettoniche. I fondali pianeggianti, fuori dell’aiola” di M. Senano (Gradoli), sono interessati da numerose fratture, con direzione Nord-Sud e NNE-SSW, con numerosissime piccole sorgenti d’acque termali con temperature di 30° C. miste ad altre a temperatura di 18° C. e molte altre con gas.I depositi calcarei hanno formato una parete rocciosa di circa un Km., tra i 9 e i 15mt. di profondità. Sin dai tempi più antichi, questa parete è stata un facile appiglio per una enorme quantità di reti da pesca tali da suggerire l’immagine di una ragnatela ed è per questo motivo che con ogni probabilità ha assunto il nome di “Ragnatoro”. Nella zona periferica a NNE del “Ragnatoro”, tra i 9 e i 13mt di profondità, furono rinvenuti altri pali e abbondante ceramica del Bronzo Medio.
24 aprile 1986
In loc. M. Senano – M. Tonico è rilevata ed osservata in dettaglio un’insolita formazione da parte di Salvatore Di Pietro e Andrea Losi, del Club Lodi. Su di un fondale pianeggiante a 6mt di profondità, si presenta una netta depressione circolare di 5mt di diametro, con pareti verticali che giungono a -9mt. Dal fondo s’innalza una corrente d’acqua a 6° C, mentre quella circostante si trova ad una temperatura di 9° C. La “buca” risale a quando il lago era più basso di 7-8mt. In un’epoca anteriore all’età del Ferro, la zona era in realtà una grande e fertile pianura dove era presente un grande pozzo di fresche acque sorgive, dove con ogni probabilità le pareti furono adattate allo scopo di attingere acqua da bere.
Anno 1986
Questo anno portò alla luce, all’Isola Martana, una struttura muraria appena affiorante nella costa Sud che fu interpretata come resti di un piccolo molo, recuperandovi un grosso ciottolo fluviale di diorite, usato dagli etruschi come cippo funerario, con inciso il nome del defunto “Aule Talus”.
All’Isola Bisentina (punta Nord), tra -6 e -18mt, fu accertata l’esistenza di formazioni di travertino che univano grossi blocchi di crollo di rocce vulcaniche. Nei fondali davanti a M. Senano e circostanti l’Isola Martana sono osservate numerose “ruote di pietra”. Recuperate, risulteranno essere parte d’attrezzature d’impianti di pesca medioevali (vedi definizione della scoperta nell’anno 1984).
Anno 1989 – 1991
Sono rinvenute due piroghe monoxili (scavate, con grandissima precisione, in un solo tronco con il fuoco e rifinite con asce e scalpelli rettangolari nella parte bassa dello scafo) lunghe, rispettivamente, 6,5mt e 9,7mt, ritrovate nei fondali di P.ta Calcino dell’Isola Bisentina e di M. Bisenzio (nel Comune di Capodimonte) ad una profondità di circa 13-14mt da parte di Massimiliano Bellacima e Amedeo Raggi entrambi sempre appartenenti al gruppo dell’Ing. Fioravanti.
La prima piroga, è stata recuperata dalla Sovrintendenza Archeologica, ed è attualmente a Capodimonte sottoposta ad un trattamento con PEG. La seconda è stata lasciata nel sedimento del fondale e protetta da un sarcofago d’acciaio del peso complessivo di circa 1.400 Kg in attesa dell’intervento delle autorità competenti.
Anno 1991
In loc. Mesta della Fossetta (Comune di Capodimonte) è scoperta un’altra “aiola” dalle dimensioni di 20 x 16mt con alcune sorgenti termali nelle immediate vicinanze. Sul suo piano superiore si possono osservare dei grossi ciottoli allungati piantati in posizione verticale.
Anno 1992
In un’immersione ricognitiva dei fondali di “Scopia”, sono recuperate delle stalagmiti di solfuri di Ferro emergenti dal fondale roccioso ed una concentrazione cristallina di Vesuvianite da parte del ricercatore Paolo Monachello.
Anno 1995
Nei fondali del fosso d’Arlena (Bolsena) è rinvenuto un cranio di “Bos Primigenius”, come quello rinvenuto nel 1968 a P.ta del Gran Carro, dal ricercatore Massimo Lozzi. In sintesi queste scoperte hanno avvalorato l’ipotesi che i villaggi preistorici scoperti, si siano insediati lungo l’isobata che segna i 10 m di profondità, con una differenza a quota 295 m s.l.m. per il periodo più antico (Bronzo antico e Bronzo Medio iniziale), Ragnatoro e Monte Senano; quota 297 m s.l.m. per gli insediamenti più recenti (Bronzo finale, prima età del Ferro), Gran Carro e Tempietto ed è proprio questo aspetto che indica un innalzamento del livello del lago.
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